Spike Lee: “Per il mio film non chiedo scusa ai partigiani”

ROMA – “Come regista di questo film, sento di non dover chiedere scusa a nessuno. Ci sono diverse interpretazioni di cosa accadde quel giorno, ma un unico fatto sicuro: il 12 agosto 1944, la Sedicesima divisione delle Ss massacrò 560 civili a Sant’Anna di Stazzema. Uomini, donne, anziani, bambini. Questa è la sola cosa certa. Per il resto, non mi preoccupa che la mia pellicola provochi polemiche: discutere del passato, della Seconda guerra mondiale, è sempre un fatto positivo”.

E’ con queste parole che Spike Lee – subito dopo l’anteprima per la stampa italiana del suo attesissimo Miracolo a Sant’Anna, centrato su una delle più efferate stragi naziste sul suolo italiano – cerca di rispedire al mittente le critiche che il film ha suscitato. Alcuni sopravvissuti o loro parenti si sono lamentati di non aver potuto vedere l’opera prima del montaggio finale, magari per avere la possibilità di rettificare questo o quel particolare. E poi l’escamotage usato dal regista per spiegare lo scatenarsi dell’eccidio – e presente giù nell’omonimo romanzo di James Bride (edito da Rizzoli) da cui è tratto – è di quelli naturalmente destinati a far discutere: a provocare il massacro, nella finzione letteraria e cinematografica, è infatti un partigiano. Un traditore, al soldo dei tedeschi. Cosa che non è piaciuta all’Anpi.

Un polverone che Lee respinge: “Un film – spiega – non può essere una fotografia esattissima del passato. Il mio scopo, all’interno di una storia che è inventata, era far rivivere un capitolo della storia italiana che, come mostrano anche queste polemiche, ancora non è risolto. Perché gli italiani, così come i francesi, non erano tutti da parte dei partigiani: che infatti si nascondevano sulle montagne, lasciando loro malgrado la popolazione civile alla mercé delle rappresaglie”. Meno nette, invece, le parole di McBride: “Se ho offeso involontariamente la sensibilità di qualcuno, chiedo scusa. Ma per me era importante riportare l’attenzione su un episodio così terribile e purtroppo poco conosciuto: meglio discutere della sua interpretazione che dell’ultima puntata del Grande Fratello, non credete?”.

Eppure, dopo aver visto Miracolo a Sant’Anna, resta la sensazione che la strage nel paesino toscano citato nel titolo sia solo un pretesto. Perché in realtà ciò che interessava, a Lee e a McBride, era mostrare il ruolo che un battaglione di soldati afroamericani – i Buffalo Soldiers – ebbe nella nostra guerra di Liberazione. E infatti sono quattro militari di colore appartenenti a quel gruppo, i protagonisti della pellicola: Stamps (Derek Luke), Bishop (Michael Ely), Hector (Laz Alonso) e il mastodontico e infantile Train (Omar Benson Miller). Di stanza in Toscana, i quattro non vengono creduti dai loro comandanti bianchi, quando segnalano la loro posizione oltre un fiume.

Si ritrovano così, abbandonati, nella Val del Serchio, con al seguito un bambino (Matteo Sciabordi), salvato da Train, che viene da Sant’Anna di Stazzema, e che porta nello sguardo, e nel modo di comportarsi, i segni di un trauma terribile. Giunti in un paesino della zona, i cinque – i soldati più il piccolo – vengono a contatto con la popolazione locale. La sensuale Renata (Valentina Cervi); suo padre fascista (Omero Antonutti); i partigiani interpretati da Pierfrancesco Favino e Sergio Albelli. Fino a che un orribile tradimento viene svelato, proprio mentre i nazisti attaccano in forze… E solo quasi quarant’anni dopo, questa storia di guerra e insieme di speranza troverà il suo epilogo.

Questo il film che sbarca nelle sale, venerdì, in 250 copie, distribuito dalla 01. E che negli Stati Uniti ha avuto anche delle stroncature. “E’ vero, a giornali come Variety non è piaciuto – ammette il regista – che devo fare, tagliarmi le vene, buttarmi dell’Empire State Building, cambiare lavoro?”. Lui, invece, del film è assai soddisfatto: “La storia scritta da James (McBride), è fantastica, e mi ha dato modo di raccontare i Buffalo Soldiers”. Vale a dire, un pezzetto di storia americana poco conosciuto e che adesso, con la candidatura di Obama, acquista un significato particolare. “Credo che Barack ce la farà – assicura il regista – certo, alcuni non lo amano proprio per il colore della sua pelle. Ma se pensiamo che gli elettori dell’Iowa, che non è certo un posto pieno di neri, lo hanno scelto, vuol dire che non siamo solo noi afroamericani a volerlo alla presidenza”.

Quanto al coinvolgimento della popolazione di Sant’Anna, Lee annuncia che “saranno invitati alla proiezione ufficiale che faremo a Firenze”. Vedremo, allora, quali saranno le loro reazioni. Quel che è certo, invece, è che il film andrà in tutte le sale italiane con una didascalia iniziale, in cui si dice che la pellicola è solo ispirata a fatti reali, e si ricorda che la strage fu compiuta esclusivamente dai nazisti. Un modo per mettere le mani avanti. (repubblica.it)

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